CONVEGNO SULLA VITA E SULL’ ATTIVITÀ PASTORALE DI S. E. MONS. GIUSEPPE BERNARDO DOEBBING

  • Stampa

Il 14 marzo scorso abbiamo celebrato la ricorrenza del 1° Centenario della morte Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Giuseppe Bernardo Doebbing, Primo Rettore Francescano del Santuario e Vescovo della Diocesi di Nepi e Sutri negli anni 1900-1916.

Abbiamo deciso di commemorare questo evento con una celebrazione solenne, per ricordare e pregare per Mons. Doebbing, e perciò vi invitiamo domenica 1° maggio alle ore 11.30 alla Solenne Concelebrazione Eucaristica in occasione del 1° Centenario della sua morte e inizio del mese mariano. La celebrazione sarà presieduta da Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Gerhard Ludwig MÜLLER, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Come preparazione a questo evento importante proponiamo la lettura del riassunto di atti del convegno, svoltosi nel nostro Santuario il 12 marzo scorso, sulla vita e sull'attività pastorale di Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Bernardo Doebbing, Vescovo di Nepi e Sutri negli anni 1900-1916.

Atti del convegno e riassunti estesi delle relazioni ivi presentate

Proponiamo ai nostri lettori una puntuale e dettagliata raccolta di sintesi delle relazioni presentate dai relatori del convegno che si è svolto il 12 marzo 2016 e dedicato a S.E. Mons.  Giuseppe Bernardo Doebbing, vescovo di Nepi e Sutri negli anni 1900-1916, con l’autorevole presenza del vescovo della Diocesi di Civita Castellana, S. E. Mons. Romano Rossi.  L’incontro è stato promosso da P. Janusz Konopacki, parroco di Nepi e da P. Piotr Burek, Rettore del Pontificio Santuario Maria SS. "ad Rupes" di Castel Sant’Elia in occasione del primo centenario della morte del vescovo sassone, già primo rettore francescano del Santuario.

Al convegno sono intervenuti illustri relatori sul tema: P. Fortunato Iozzelli autore di una delle più importanti pubblicazioni sul vescovo Doebbing, il Prof. Claudio Canonici, noto storico della Chiesa e la Dott.ssa Alessandra  Senzacqua,  che ha dedicato la sua tesi di laurea al vescovo sassone, moderati dalla Dott.ssa Pamela Paparoni. Numeroso il pubblico presente all’incontro insieme ad autorità religiose, civili e militari, quali il sindaco di Castel Sant’Elia, Rodolfo Mazzolini, il sindaco di Nepi, Pietro Soldatelli, il maresciallo dei Carabinieri di Castel Sant’Elia Davide Querci, l’assessore alla cultura del Comune di Sutri, Ercole Fabrizi.

Mons. Doebbing e il Santuario Maria SS. "ad Rupes"

Mons. Giuseppe Bernardo Doebbing ha rappresentato una figura storica importantissima per la vita della nostra diocesi, di questa territorio e anche per l’aspetto odierno del Santuario Maria SS. "ad Rupes" ha ricordato P. Piotr Burek nei suoi saluti introduttivi.  Dal 1892, infatti, esso venne affidato ai frati minori della provincia di S.Croce in Sassonia e sotto la guida di Mons. Doebbing, primo rettore francescano del santuario, il complesso assunse  l’aspetto odierno.

Doebbing fu incaricato di provvedere all’abbellimento del santuario, alla costruzione del conventino, prima dimora della comunità, al quale poi seguì quella del convento con i suoi complessi, ampliò la Grotta della Madonna con la piazzetta antistante, realizzò strade di accesso al santuario con cancellate di ferro, la strada panoramica interna che collega la Grotta santa al convento.  Quando il 22 aprile 1900 p. Giuseppe Dobbing fu eletto vescovo di Nepi e Sutri continuò la sua azione per completare l’opera intrapresa e fece costruire la Basilica minore di San Giuseppe (1908/1910) per le funzioni liturgiche con un grande afflusso di pellegrini. Dal gennaio 1982 all’ordine dei francescani di Sassonia subentrò la Congregazione di San Michele Arcangelo che è l’attuale custode del Santuario e a cui appartengono anche i due promotori del convegno su mons.  Doebbing, P. Janusz Konopacki e P. Piotr Burek.

Doebbing morì a Roma il 14 marzo 1916 ed è sepolto nel cimitero dei frati francescani, all’interno del complesso del Santuario Maria SS. “ad Rupes”, vicino alla chiesetta di San Michele, deposto in una tomba monumentale.

Intervento di P. FORTUNATO IOZZELLI

P. Fortunato Iozzelli, sacerdote dell’Ordine dei Frati minori, docente di storia della chiesa e codicologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma ha pubblicato molti saggi di carattere storico-filologico e vari volumi tra cui quello importantissimo dal titolo “Giuseppe Bernardo Doebbing vescovo di Nepi e Sutri tra Riforme e nazionalismi”, ricco di un’ampia documentazione archivistica in Italia e in Germania.

P. Iozzelli durante il convegno ha trattato l’aspetto dell’attività pastorale di mons. Doebbing, del suo ruolo e funzione religiosa, soffermandosi molto sui suoi rapporti con la diocesi e con il clero. Il vescovo sassone, infatti, cercò di rianimare la vita cristiana dei fedeli attraverso visite pastorali e lettere pastorali, curò con opportune istruzioni la disciplina del clero, riorganizzò i due seminari diocesani, celebrò nel 1907 il Sinodo e sovvenzionò con grandi somme di denaro le opere apostoliche e i sacerdoti. In linea con il programma di Pio X che mirava alla restaurazione cristiana della società, mons. Doebbing promosse la riforma liturgica, si oppose al socialismo e al modernismo, intervenne a favore dei sindacati interconfessionali tedeschi e per incarico della Santa Sede espletò alcuni delicati uffici in ambito extradiocesano.

Nonostante il suo impegno e la sua grande generosità, mons. Doebbing, a motivo soprattutto del suo carattere energico ed autoritario, non riuscì a guadagnarsi completamente l’affetto e la stima dei suoi diocesani. Gli ultimi anni della sua vita, particolarmente in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale, furono contrassegnati da una campagna di diffamazione orchestrata contro di lui dal giornale “Il Messaggero,” i cui responsabili vennero querelati dal vescovo sassone, ma la loro assoluzione non fece che accelerare la sua morte avvenuta il 14 marzo 1916.

Intervento della Dott.ssa ALESSANDRA SENZACQUA

Il convegno celebrativo della figura di Doebbing è risultato ben documentato anche dal punto di vista storico, grazie alla presenza di P. Fortunato Iozzelli, del prof. Claudio Canonici e della  dott.ssa Alessandra Senzacqua che ha dedicato la sua tesi di laurea al vescovo sassone, pubblicata dall’Associazione culturale Antiquaviva, che ha anche animato l’incontro con brani di musica gregoriana.

Nel suo intervento Alessandra Senzacqua ha ripercorso le parti più salienti del suo lavoro, evidenziando il carisma, lo spessore umano e religioso di un uomo di Chiesa di origine tedesca, che operò in un contesto locale come le Diocesi di Nepi e Sutri caratterizzato da miseria sociale, degrado, abbandono e anticlericalismo.

Intervento del Prof. CLAUDIO CANONICI

Nel convegno sono stati affrontati diversi aspetti dell’episcopato di Doebbing, compresa la complessa questione del Cristianesimo sociale, tema principale dell’intervento del prof. Claudio Canonici, figura di primissimo rilievo nell’ambito degli storici della Chiesa.  Già professore di Storia dell’illuminismo all’Università “La Sapienza” di Roma  e docente  di Storia della Chiesa moderna e contemporanea presso la Facoltà di Conservazione di Beni culturali dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo,  direttore dell’Istituto universitario di Scienze Religiose “A. Trocchi”, collegato con la Pontificia Università Lateranense, dal 1995 è direttore dell’archivio storico della Diocesi di Civita Castellana (VT) e autore di numerose pubblicazioni scientifiche.

Il prof. Claudio Canonici durante il suo intervento ha approfondito la figura di Doebbing nel suo ruolo e nella sua azione di apostolato sociale e si è soffermato sulle iniziative da lui intraprese per portare anche nel nostro territorio quelli che erano gli sviluppi, soprattutto fuori dall’Italia e in parte in Italia, del Cattolicesimo sociale, creando Banche di credito cooperativo, promuovendo la creazione di Banche Popolari, associazioni che si sono occupate del sostegno ai segmenti più svantaggiati della società locale.

Riassunto esteso e particolareggiato dell’intervento del prof. CLAUDIO CANONICI

Secondo il prof. Canonici per spiegare la figura del vescovo Doebbing e che cosa esso ha rappresentato per il nostro territorio occorre tener presenti tre diversi piani di analisi: il piano della c.d. CHIESA UNIVERSALE o mondiale; il piano della CHIESA ITALIANA; il piano della CHIESA LOCALE.

  1. Nell’ambito del piano della c.d. CHIESA UNIVERSALE, occorre considerare che in quel periodo, storico di fine ’800 la Chiesa stava affrontando delle sfide epocali. Essa si stava reimpossessando di quella vicaria apostolica che aveva lasciato alle Corone del Portogallo,  riprendendo il Brasile all’interno dell’organizzazione ecclesiastica, perché fino  a quel momento esso dipendeva dalla Chiesa portoghese e non da quella di Roma; c’era l’abolizione della schiavitù nell’America meridionale , si avevano le prime manifestazioni di un fortissimo processo di laicizzazione,   la terza Repubblica francese,  si registrava una fortissima avanzata del movimento socialista che stava interrogando la Chiesa e la poneva in una posizione di retroguardia rispetto alla quale la Chiesa Universale doveva reagire e  prendere una posizione.
  2. Il prof Canonici ha, poi, analizzato il piano della CHIESA ITALIANA e la situazione esistente all’epoca in Italia. Rispetto alle sfide epocali vissute dalla Chiesa fuori dall’Europa e dall’Italia, la Chiesa italiana era ancora fortemente legata alla questione romana. Erano trent’ anni che il potere temporale dei Papi era stato abbattuto, ma questo fatto non era stato ancora superato da una parte considerevole del Cattolicesimo italiano, mentre quello europeo e mondiale avevano altri generi di problemi. Il Governo italiano ancora viveva avendo l’idea di una Chiesa che era nemica del nuovo Regno d’Italia e per certi aspetti la Chiesa dimostrava effettivamente questa avversione. Essa, infatti, non aveva riconosciuto l’Italia, non permetteva ai suoi fedeli di votare per il Regno e per il potere legislativo, la Chiesa non consentiva l’impegno dei cattolici italiani.  Mentre, invece, i cattolici francesi, belghi o tedeschi già stavano facendo quel cammino d’incontro tra Chiesa e modernità che era lontanissimo dall’orizzonte della Chiesa italiana.
  3. Il terzo piano di analisi del nostro illustre relatore ha riguardato la CHIESA LOCALE e la società locale che versava in una situazione di estrema arretratezza culturale ed economica. In questi territori il processo di industrializzazione era lontanissimo, non c’erano industrie, qualche opificio e la più grande risorsa di lavoro era rappresentata, già all’epoca, soltanto da Roma. L’economia era prettamente agricola e l’agricoltura era legata al vecchio modo di conduzione della terra, ancora fortemente dominata dall’ex feudalità locale. Il prof Canonici ha evidenziato il fatto che malgrado la feudalità fosse stata formalmente abolita con Pio VII nel 1816, poi, nella realtà, la situazione era molto lenta a mutare.  Alla fine dell’800, dopo la caduta del potere temporale, la feudalità formalmente non esisteva più, ma era rimasto il potere di alcuni ex signori feudali, dei grandi proprietari terrieri assistiti dai loro amministratori che dominavano la situazione locale.                                                                        

La battaglia per l’occupazione delle terre nei nostri territori cominciò all’inizio del ‘900 e per questo anche Mons. Doebbing si trovò a viverla, ma si trattò di una battaglia di retroguardia, perché era una battaglia di difesa dei vecchi sistemi di conduzione della terra che avevano negli usi civici, retaggio del passato, uno strumento per consentire un reddito aggiuntivo alle popolazioni locali. Ossia, in questi territori si difendevano gli usi civici contro il desiderio dell’ex feudalità e dei loro amministratori di abolirli. Dunque, ha precisato Canonici, si trattava di una battaglia di retroguardia che si differenziava anche dalle occupazioni delle terre del nord d’Italia, dove si era instaurato un capitalismo agrario che aveva sviluppato l’agricoltura. In questi territori locali, invece, la situazione generale permaneva di estrema arretratezza. Interessante la precisazione dello storico Canonici sul fatto che neppure le prime battaglie contadine di queste zone, rubricate in qualche libro di testo come le prime lotte contadine di stampo socialiste, in realtà tali non erano, ma si trattava di battaglie di estrema retroguardia. Occorre ricordare, infatti, che da questi territori partivano battaglie contro il tentavo della Stato della Chiesa di abolire gli usi civici, quindi si trattava sempre di battaglie di estrema retroguardia.

Dopo aver dettagliatamente spiegato il quadro di riferimento dell’azione di mons. Doebbing nei tre piani di analisi della Chiesa, il prof Canonici ha detto che il vescovo sassone ha portato le novità che erano ormai fiorite nella Chiesa Universale in questo territorio e ha cercato di collegare questo territorio al resto della situazione italiana e ad una Chiesa italiana che era ancora in forte conflitto con lo Stato ed è soltanto partendo da questa considerazione che  possiamo capire compiutamente cosa ha rappresentato Doebbing per questo territorio.  Pertanto, le realizzazioni in campo sociale del vescovo sassone furono in sostanza il tentativo di cogliere le novità che venivano dal resto d’Italia, e neppure straordinariamente efficaci se confrontate con quelle realizzate in Europa e portarle in questi territori caratterizzati da grande arretratezza.

In Europa, ha ricordato Canonici, il ruolo della Chiesa nel Sociale era fortemente cresciuto nella seconda metà dell’800, mentre in Italia esso era rimasto ad un livello basso. Appena arrivato nel nostro territorio, mons. Doebbing ha cominciato in primo luogo a fare un’operazione di annunci, come avvenne nella sua prima visita pastorale del 1902,  in cui  ha annunciato quelle che dovevano essere le novità da introdurre nella Chiesa locale , elencando una serie di iniziative che in Italia stavano già attuandosi . Doebbing, ad esempio, è stato il primo ad utilizzare nel nostro territorio il termine Democrazia Cristiana che in Italia, invece, cominciava già ad essere usato per indicare l’idea di costruire una società democratica fondata sul Cristianesimo.  In particolare, il vescovo sassone utilizzò questa espressione nel 1902, in un annuncio nel nostro territorio durante la sua prima visita pastorale, influenzato dalle letture che si cominciavano a fare in certi ambienti di movimenti cattolici.

Il prof. Canonici ha, poi, ricordato che nelle sue tre viste pastorali Doebbing dedicò sempre uno spazio d’incontro con le confraternite locali, perché erano le uniche associazioni nel nostro territorio, di origine e piena attuazione ecclesiale, in piena sintonia con la Chiesa e le parrocchie, che si occupavano di attività sociale. Entrare in contatto con le confraternite e parlare loro di mutuo soccorso, di Casse Rurali, di società operaie, nell’ottica di Doebbing significava non solo rivitalizzare quel grande strumento di intervento sociale che nel nostro territorio erano state le confraternite, ma anche riportare in questi luoghi quelle parole d’ordine che erano scaturite dall'Enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, pietra miliare nella dottrina sociale cristiana. Ovvero, nella necessità che i cattolici si impegnassero nel sociale perché avevano due nemici ben evidenti contro cui contrapporsi: il Socialismo da una parte e l’ascesa del liberismo dall’altra, ossia l’utilizzo e lo sfruttamento dell’uomo soltanto a fini economici, l’alienazione del lavoro. All’interno del mondo del lavoro si individuava così una terza via, la via della solidarietà, che si attuerà riunendo i lavoratori all’interno delle corporazioni, nell’ambito delle quali tutte le tensioni si sarebbero stemperate e le difficoltà appianate. Veniva, dunque, introdotto un elemento per combattere da una parte la lotta di classe e dall’altra lo sfruttamento dei lavoratori e la riduzione del lavoro a merce. Tuttavia, se questa era la situazione che si presentava in Italia , nel nostro territorio  il tema non  era mai stato affrontato e Doebbing fu il primo a farlo, cercando anche di promuovere in questi luoghi associazioni di mutuo soccorso, animate dallo spirito del Cristianesimo e da quello che cominciava ad essere il Cristianesimo sociale,  ottenendo anche dei buoni risultati, con la fondazione di alcune Casse Rurali, a Nepi e Capranica, o di  società operaie, come quella di S. Terenziano a Capranica, associazioni di donne, soprattutto durante la guerra.

Il prof. Canonici ha, poi, evidenziato che mons. Doebbing era anche una persona di estrema duttilità, nonostante avesse nel contempo un grande senso di autorità, ma gli erano proprie grandi capacità di imparare dagli insegnamenti che gli provenivano dal mondo attorno a lui. Era un vescovo di mentalità intransigente, un sostenitore del recupero della societas cristiana, ossia del tentativo di ricreare una società integralmente cristiana, aveva una cultura ostile a certe modernità, alla Rivoluzione Francese che vedeva come l’inizio di tutti i mali e un’avversione verso la massoneria.  Il suo intransigentismo lo ha portato a condannare il Socialismo, attaccandolo secondo quelli che erano i canoni di Leone XIII nella Rerum Novarum e di altri intellettuali cattolici intransigenti. Doebbing condanna il Socialismo come distruttore della famiglia, come portatore del libero amore, come fautore dell’odio e della lotta di classe, come distruttore dell’ordine costituito e dei rapporti sociali, come portatore di odio. Poco sappiamo, invece, del suo giudizio sul nuovo Regno d’Italia che aveva abbattuto il potere temporale della Chiesa e se lui fosse per il recupero di quest’ultimo. Contestualmente, però, forse influenzato dalle lotte contadine contro l’abolizione degli usi civici  e per difendere le terre di uso comune contro il tentativo dei grandi  ex proprietari  terrieri di privatizzarle , così come sostengono alcuni e Padre Iozzelli, mentre non si è certi di questo secondo il Prof Canonici, Doebbing cominciò a sostenere che se le lotte contadine rompono l’ordine sociale, l’egoismo dei proprietari favorisce il Socialismo; se non è giusto che si attacchi i diritti della proprietà e dell’economia, la povertà è, invece, un elemento che necessariamente deve interrogare il cristiano. Doebbing diede una rilettura delle difficoltà delle classi subalterne ed economicamente povere in termini assolutamente cristiani, in cui, però, la polemica contro l’egoismo delle classi dominanti e dei grandi proprietari terrieri, costringeva i contadini ad arrivare a soluzioni estreme.

Il punto fondamentale evidenziato da Canonici è stato quello secondo cui se Doebbing, con un apertura non soltanto italiana, ma internazionale, fu portatore di una visione e di una cultura intransigente  nelle questioni generali della Chiesa italiana e della Chiesa mondiale, quando si trattò invece di una questione che lo interrogò come tedesco, relativa ai sindacati interconfessionali, allora mostrò  un’apertura impensabile nell’ottica dell’intransigentismo cattolico. Il prof. Canonici ha fatto riferimento, in particolare, alla questione che era nata in Germania all’inizio del 900 dove, dopo la battaglia per la cultura di Bismark che aveva smantellato alcuni punti fermi dell’associazionismo cattolico, si stavano creando nella secolare tradizione tedesca delle associazioni di lavoro, i c.d.  sindacati interconfessionali, che sorsero in gran parte nella zona di Colonia. La loro particolarità fu che, nelle lotte operaie per la rivendicazione dei diritti, all’interno di essi si trovavano a fianco a fianco cristiani cattolici e cristiani evangelici. Questa legame era estremamente innovativo per l’epoca, in quanto all’inizio del 900 i protestanti erano ancora considerati degli eretici e non c’era comunicazione fra cattolici e protestanti. Pertanto, in una situazione di difficoltà del mondo cristiano tedesco, cattolici e protestanti avevano creato queste organizzazioni comuni del lavoro, sindacati interconfessionali, che però non erano accettati in tutta la Germania. Ad esempio l’arcivescovo di Berlino, al contrario, era stato l’organizzatore di organizzazioni operaie e di sindacati totalmente cattolici ed aveva imposto la rigida separazione tra movimenti sindacali cattolici e quelli protestanti. In Germania nacque così una fortissima controversia tra i fautori della possibilità che esistessero i sindacati interconfessionali e coloro che, invece, non volevano che questi ultimi avessero l’approvazione della Chiesa. Tali contrapposizioni furono rese note anche al Papa, che stava pronunciandosi su tale controversia, ma prima ancora che fosse resa nota la risposta del pontefice, mons. Doebbing insieme ai frati della Sassonia di Castel Sant’Elia mandò una lettera memoriale a Roma nella quale sosteneva la piena legittimità dei sindacati interconfessionali. Il vescovo sassone asseriva che solo questi sindacati avevano generato dei vantaggi per i lavoratori nella Germania fondamentalmente cattolica, in cui i sindacati interconfessionali erano stati gli unici a riuscire a bloccare l’avanzata delle organizzazioni operaie socialiste, mentre invece nei territori in cui essi non furono ammessi dalla Chiesa locale, l’avanzata dei sindacati socialisti era stata più forte ed evidente il fallimento dei sindacati esclusivamente cattolici. Il memoriale inviato al Papa a Roma da parte di mons. Doebbing, pertanto, fu un memoriale in difesa della interconfessionalità dei sindacati, ma questa, ha precisato il prof. Canonici, non è esattamente una posizione politico sociale di un intransigente. Pertanto, l’illustre relatore durante il convegno, si è interrogato sul motivo per cui Doebbing pur nella sua duttilità, cambiò la sua impostazione a seguito delle lotte contadine per l’occupazione delle terre e come mai la sua posizione si ammorbidì rispetto alla condanna precedente del Socialismo. Canonici si è domandato ancora come giustificare l’intransigentismo del vescovo sassone in questi nostri luoghi, con una diversa apertura, invece, quando di trovò ad affrontare questioni in terra tedesca e questo secondo Canonici è il nocciolo centrale del rapporto tra Doebbing e territorio.

Secondo il Prof. Canonici il vescovo Doebbing dava di questo nostro territorio una lettura estremamente negativa: vedeva un clero incapace di svolgere la sua funzione, dei fedeli ancorati ad un Cristianesimo che non era all’altezza dei tempi e avvertiva una difficoltà di trasferire in queste zone ciò che in altri territori e nel resto d’Italia si stava cominciando a costruire.  E’ per questo che il suo approccio con questo territorio è stato fondamentalmente un approccio pedagogico, usando l’espressione forte del prof Canonici: “L’approccio di chi viene e si rende conto di avere di fronte dei bambini da istruire nella fede, da istruire puramente come uomini, come sacerdoti, come fedeli”. La sua opera fondamentalmente di tipo pedagogico è però entrata in contrasto con un segmento della società locale di Nepi e Sutri, ossia con l’élite dominante. (élite post-risorgimentale) che, per l’azione pedagogica del vescovo Doebbing, si è vista sfuggire di mano il controllo della società in cui fino a quel momento aveva dominato e per questo reagì contro di lui.  La genesi del conflitto che scaturì, secondo il Prof. Canonici, è esattamente questa: ossia il contrasto tra una persona che stava esercitando un’azione di natura pedagogica molto forte, religiosa e di natura sociale,  cercando di introdurre in questo territorio le novità che venivano dall’Italia e dall’estero, in una società fortemente arretrata e con un élite dominante, che non voleva perdere la sua funzione di guida e dominio di questa realtà locale. Questa considerazione, secondo Canonici, oltre ad essere la genesi del conflitto tra il vescovo sassone e l’élite dominante, è stato forse anche il limite dell’azione pedagogica di mons. Doebbing, ossia, egli non si è reso conto che questa era la situazione della realtà locale, mentre ha operato come era nella sua personalità, affermando la centralità del vescovo, la centralità della Chiesa, il decoro della Chiesa, il ritorno della Liturgia come momento solenne.

Secondo il prof. Canonici la difficoltà che Doebbing ha avuto è stata proprio quella di non essere riuscito a legare a se una parte di quel clero che non era coinvolto con il potere dell’élite dominante e che lo avrebbe in qualche modo potuto capire ed aiutare. Questo è stato forse il limite di una persona, definita nel complesso dal prof. Canonici di grande valore e di grande spessore.

Intervento di S.E. Mons. Romano Rossi

Le conclusioni del convegno sono state affidate a S.E. Mons. Romano Rossi, da otto anni alla guida dell’episcopato di Civita Castellana, dove svolge la sua attività sempre con grande spirito di servizio e soprattutto, con lo spirito del buon pastore che ama il gregge affidatogli e a cui sono stati rinnovati tanti attestati di stima e di gratitudine da parte dei presenti all’incontro.

Mons. Romano Rossi ha voluto dare una testimonianza personale incentrata sulle tante situazioni di affinità e continuità rispetto all’episcopato del vescovo Doebbing. Ha aperto il suo intervento spiegando di aver voluto intitolare la nuova grande sala di conferenze ecclesiali della nostra diocesi, ubicata a Nepi, alla memoria di mons. Doebbing, nell’anno del centenario della sua morte, ritenendolo, dietro adeguata consulenza scientifica, il vescovo più significativo nella storia delle nostre 5 diocesi.  Mons Romano Rossi ha detto che dal vaglio critico della figura di Doebbing è emerso un uomo, pur con le sue caratteristiche positive e negative, di una categoria rilevante.  Un suo successore un secolo dopo davanti al vescovo sassone prova un grande aiuto a spogliarsi di ogni presunzione di protagonismo, trovandosi davanti al giudizio della storia, ad un uomo di grande elevatura, integrità morale, fede salda, distacco dal denaro, disinteresse apostolico, amore alla Chiesa ed ha esortato a riprendere in mano le sue sfide con gratitudine.

Mons. Romano Rossi ha ricordato le origini del vescovo Doebbing, nato da una famiglia poverissima, in una delle zone più cattoliche della Germania e come poi abbia saputo raccogliere cospicue somme di denaro da destinare alle opere cattoliche, grazie, soprattutto, alle sue grandi capacità di uomo intelligente, coraggioso, di sintesi, ardimentoso. Ha ricordato, poi, diversi aspetti dell’episcopato di Doebbing, soffermandosi sulle enormi difficoltà che ha dovuto affrontare, ben note ad un suo successore. Il vescovo Rossi ha riconosciuto nelle analisi su Doebbing anche molte problematiche del nostro tempo e ha detto che le difficoltà di questo popolo ai tempi del vescovo sassone, sono anche i problemi di oggi, lievemente migliorati perché il mondo è progredito. In particolare, si è parlato di arretratezza culturale, sociale di questi luoghi, anche se segnali positivi ed incoraggianti attuali non mancano. Mons. Rossi ha trattato, poi, anche del tema delle confraternite, ampiamente diffuse al tempo di Doebbing, con caratteristiche odierne diverse dall’epoca, ma che comunque vanno considerate, perché permettono di tenere agganciate alla Chiesa centinaia di miglia di persone che non avrebbero altri contatti con essa altrimenti.

Tracciando delle similitudini con l’attività pastorale del vescovo Doebbing, Mons Romano Rossi ha parlato dell’impegno per la catechesi, la mobilità del clero, i seminari, citando quello riaperto nella nostra diocesi tra tante difficoltà, ma segno vivo di una Chiesa che continua il suo cammino nel tempo.  Il Cattolicesimo sociale, invece, in questo territorio ha attecchito ed è scomparso con Doebbing.  Mons Romano Rossi ha detto, che quando si sente domandare perché il sociale non è più stimolato e incoraggiato dalla Chiesa, avverte molto il problema che gli viene sollevato, ma non vuole che la soluzione sia sbagliata e il quadro politico che si palesa giorno dopo giorno intorno a noi manifesta una complessità crescente. Tuttavia, una ripartenza su questo versante deve essere necessariamente di tipo formativo e culturale. Per spiegare tale aspetto mons. Romano Rossi ha citato la figura di Giuseppe Dossetti, presbitero, giurista, politico e teologo italiano nato nel 1913, deputato della Democrazia Cristiana, osservatore attento della civiltà contemporanea. Dossetti diceva che durante la loro generazione si dedicava tutto il tempo a studiare e pregare, essendo vietato di fare politica nel ventennio fascista ed esortava i sacerdoti a ricominciare a studiare con la gente. Oggi, invece, ha detto Mons. Romano Rossi, il mondo cattolico appare irrilevante a livello di fermento e lievito culturale, ossia di una cultura che parte dalla Bibbia e arriva alla Teologia, alla Morale, alla Morale Sociale, che dialoga con la Letteratura, la Filosofia, l’Arte, tutto sembra scomparso.

Il vescovo Rossi, pertanto, ha ribadito il primato della formazione e della necessità nelle parrocchie di approfondire la parola di Dio, di radicarsi nella preghiera e di attingere alla grande tradizione della Chiesa. L’ultima riflessione affettuosissima da parte di Mons. Romano Rossi ha riguardato la presenza della croce nella vita di Mons. Doebbing, riferendosi ai suoi conflitti, alla campagna di diffamazione che lo interessò, alle sue poche soddisfazioni, ma poi alla fine della sua esistenza è giunto il Signore, nelle cui mani tutto è stato rimesso.

Pamela Paparoni